Ditta individuale, la guida: apertura, gestione e costi

Jacopo Curletto28 ottobre 2025
Ditta individuale

L’Italia è un Paese fatto di piccole o micro imprese, e anche se i dati non sono omogenei la forma d’impresa più diffusa è la ditta individuale. È snella, veloce da aprire, economica da gestire. Il primo tassello per chi vuole avviare un’attività imprenditoriale. 

In questa guida approfondiremo tutti gli aspetti legati all’impresa individuale, dai dettagli di natura giuridica ai dipendenti, dall’apertura ai costi (fissi e variabili), dalla scelta del regime fiscale alla questione del conto corrente. 

Sommario

  1. Cos’è la ditta individuale
  2. Vantaggi e svantaggi
  3. Come aprire una ditta individuale
  4. Costi di un’impresa individuale
  5. Regime fiscale
  6. Ditta individuale o libero professionista
  7. Chiudere una ditta individuale
  8. Ditta individuale e conto corrente

Cos’è la ditta individuale

Una ditta individuale è un’attività economica organizzata e svolta in modo professionale per produrre o scambiare beni e servizi come sancito dall’articolo 2082 del Codice Civile. È una delle forme giuridiche di impresa più semplici da avviare: è di proprietà di un solo titolare, ha una burocrazia snella e i costi di tenuta contabilità sono piuttosto bassi. 

La ragione sociale (il nome) delle ditte individuali non ha una sigla propria come le società (es. s.n.c., s.r.l.), ma deve obbligatoriamente riportare il nome e cognome del titolare. Un esempio di impresa individuale potrebbe essere un negozio di parrucchiera chiamato Colpi di Sole di Luisa Rossi.

Ditta individuale e impresa individuale

Nel linguaggio comune, ditta individuale e impresa individuale si usano come sinonimi, e in pratica lo sono, anche se nel gergo esiste una leggera differenza. Impresa è il termine usato per indicare l’attività economica vera e propria, ditta invece è il nome commerciale con cui una persona fisica esercita un’attività sul mercato, che può anche non essere di tipo imprenditoriale. 

In altre parole, ogni impresa individuale è una ditta individuale, ma non è detto che ogni ditta individuale sia un’impresa. Nella nostra guida, useremo i due termini indistintamente. 

Persona fisica o giuridica?

La ditta individuale non ha una personalità giuridica distinta dal suo titolare. Quindi un imprenditore (partita IVA) che apre una ditta resta a tutti gli effetti una persona fisica con diritti e obblighi diretti verso terzi. 

Un’impresa individuale non prevede un patrimonio separato, e quindi i debiti dell’attività possono ricadere sui beni personali del titolare. Attenzione, dunque, a scegliere questa forma giuridica se si opera in settori ad alto rischio economico–finanziario: meglio optare per una società di capitali (s.r.l., s.r.l.s., s.p.a. anche unipersonali). La ditta individuale è ideale per chi gestisce attività di piccole dimensioni, in settori a basso rischio o investimento e dove la gestione semplificata può essere un vantaggio, non un problema.

La ditta individuale può avere dipendenti?

Sì, nulla vieta a un’impresa individuale di assumere dei dipendenti o pagare dei collaboratori esterni (es. freelance). Il titolare può anche coinvolgere dei collaboratori familiari, come il coniuge, parenti entro il terzo grado o affini entro il secondo grado. In questo caso si parla di impresa familiare, un tipo giuridico dove l’imprenditore rimane il titolare responsabile ma gli utili possono essere distribuiti ai partecipanti.

Non c’è un limite alla quantità di dipendenti che una ditta individuale può avere, ma bisogna considerare che all’aumentare del personale crescono i costi e la struttura organizzativa deve diventare più complessa. A un certo punto, quindi, la semplice impresa individuale potrebbe risultare stretta e rischiosa, e passare a una forma giuridica più strutturata (es. una società di capitali) potrebbe essere una mossa azzeccata. 

Inoltre la scelta dei dipendenti influenza anche il regime fiscale adottato. Le ditte individuali che adottano un regime forfettario, ad esempio, non possono erogare compensi per i collaboratori superiori ai 20.000 euro lordi l’anno, pena il passaggio al regime ordinario. 

Vantaggi e svantaggi

Il primo vantaggio che offre una ditta individuale è la semplicità di apertura. In 7–10 giorni lavorativi è possibile completare tutte le pratiche per essere operativi e avviare il business. Per aprire un’impresa individuale non serve un notaio né uno statuto o un regolamento dell’azienda. Non c’è nemmeno un capitale iniziale obbligatorio da versare. 

Il secondo aspetto è la velocità nel prendere decisioni. Nella ditta individuale c’è un unico titolare, tutte le altre figure sono esterni, collaboratori o dipendenti, dunque per fare delle scelte non serve burocrazia né lunghi passaggi interni.

Terzo, i costi di tenuta della contabilità sono bassi. Rispetto ad altre forme giuridiche, la ditta individuale può avere una contabilità semplificata se si mantiene entro determinati limiti di ricavi. Questo significa avere anche meno adempimenti burocratici. 

Lo svantaggio principale, invece, è la responsabilità dell’imprenditore. Nell’impresa individuale, il titolare è illimitatamente responsabile per le obbligazioni dell’azienda: significa che in caso di fallimento, i creditori dell’impresa possono rifarsi sui beni personali dell’imprenditore, come il conto corrente personale, immobili e altri beni. Azienda e imprenditore non sono nettamente separati, come invece accade nelle società di capitali.

Il secondo lato negativo può essere l’accesso al credito. Una ditta individuale, senza soci né struttura contabile complessa, potrebbe avere qualche difficoltà a ottenere dalle banche finanziamenti importanti, limitando di fatto le possibilità di crescita. 

Come aprire una ditta individuale

L’apertura di un’impresa è semplice e poco costosa. Il primo passaggio è scegliere la ragione sociale (il nome) della ditta: deve essere diverso da quello di altre aziende già esistenti, attinente al business e con il potenziale per diventare un brand riconoscibile. 

Poi tocca alla Comunicazione Unica, un documento che contiene tutte le informazioni che servono per informare tutti gli enti riguardo l’avvio dell’attività. La comunicazione va presentata per via telematica al Registro delle Imprese e in un colpo solo permette di adempiere a tutte le formalità per l’apertura: 

  • apertura della partita IVA;
  • iscrizione al Registro delle Imprese;
  • iscrizione all’INPS per la previdenza;
  • eventuale apertura della posizione assicurativa presso l’INAIL;
  • segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) allo sportello comunale SUAP. 

Per compilare e inviare la Comunicazione Unica, un imprenditore può usare il servizio delle Camere di Commercio DIRE, uno dei software suggeriti dal Registro delle Imprese oppure un intermediario (commercialista o associazione). 

Dopo l’apertura della ditta individuale è necessario inoltre dotarsi di una casella di posta elettronica certificata aziendale (PEC), che sarà il domicilio elettronico dell’impresa, e di un dispositivo per la firma digitale, che serve a vidimare documenti dal valore legale.

Costi di un’impresa individuale

I costi che deve sostenere una ditta individuale sono variabili e dipendono da alcuni fattori, sia al momento dell’apertura che durante la gestione. In generale, però, si tratta di spese piuttosto basse rispetto alle altre forme di impresa. 

Costi di apertura

Aprire un’impresa individuale richiede dei costi fissi e dei costi variabili. Per le pratiche burocratiche di apertura è sempre richiesto il pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria alla Camera di Commercio, più il diritto camerale il cui importo dipende dal comune dove ha sede l’impresa. 

Se servono autorizzazioni aggiuntive, come l’Attestazione di inizio attività (AIA) oppure la SCIA e l’iscrizione al SUAP, si aggiungono altri costi di natura variabile. E se poi si chiede aiuto a un commercialista bisogna considerare anche la parcella dell’intermediario, di solito compresa tra 50 euro e 200 euro in più. 

Costi di gestione

La gestione di una ditta individuale può costare di più o di meno a seconda del regime fiscale adottato dall’impresa, dalle dimensioni del business e altro ancora. 

I costi obbligati sono per lo più imposte e contributi. Del primo gruppo fanno parte l’IRPEF (imposta sulle persone fisiche), l’IVA (imposta sul valore aggiunto) sui beni e servizi venduti, le imposte locali (es. IRAP, imposta regionale sulle attività produttive) e il diritto camerale (tra 20 e 100 euro all’anno).

Nel secondo gruppo troviamo i contributi previdenziali, da versare all’INPS per la pensione, e i contributi assistenziali. Questi crescono all’aumentare del reddito della ditta, ma se il titolare della partita IVA ha anche un lavoro dipendente potrebbe non essere tenuto a versarli. 

Poi ci sono i costi accessori, quelli per la gestione ordinaria, che comprendono le spese di acquisto di materiali, attrezzature e altri beni per il lavoro, spese di affitto, utenze, spese di personale, investimenti in marketing e pubblicità, spese di trasporto e altro ancora. Qui le cifre sono estremamente variabili e dipendono dal tipo di business, dal volume degli affari e dalle scelte dell’imprenditore. 

E ovviamente ci sono anche i costi per il commercialista e la contabilità. Per una ditta individuale la spesa può variare tra i 500 e i 2.000 euro l’anno in base alla complessità, al tariffario del professionista e ai servizi richiesti.

Regime fiscale

Il pagamento delle imposte di una ditta individuale è subordinato al regime fiscale che può o sceglie di adottare. La maggior parte delle imprese individuali appena aperte opta per il regime forfettario, che offre parecchie agevolazioni, le altre scelgono il regime ordinario.

Regime forfettario

Se l’impresa adotta il regime forfettario beneficia di una tassazione agevolata al 5% per i primi 5 anni di attività e al 15% successivamente. L’aliquota è a forfait, non cambia al crescere del reddito, e si applica su un imponibile stabilito dal coefficiente di redditività, che a sua volta varia in base al codice ATECO dell’impresa (il settore di cui essa si occupa). 

La ditta individuale in regime forfettario, inoltre, non è tenuta a versare l’IVA, può godere della contabilità semplificata e può richiedere una riduzione del 35% sui contributi previdenziali da versare all’INPS. 

Il regime forfettario ha anche qualche svantaggio. Ad esempio, l’imprenditore non può detrarre le spese reali sostenute, perché vengono calcolate a forfait e quindi già sottratte dall’imponibile, secondo il coefficiente di redditività del proprio codice ATECO. Per un’impresa che ha spese di gestione molto alte potrebbe essere sconveniente.

Per accedere al regime forfettario l’impresa individuale deve possedere dei requisiti. Ad esempio, i ricavi complessivi non devono superare gli 85.000 euro l’anno e le spese per dipendenti e collaboratori non devono superare i 20.000 euro lordi annui.

Regime ordinario

Se invece opta per il regime ordinario occorre versare l’IRPEF, in percentuale crescente in proporzione al reddito (23% fino a 28.000 euro, 35% tra 28.001 e 50.000 euro, 43% oltre 50.000 euro), l’IVA (5%, 10% o 22% in base alla categoria di beni e servizi venduti) e l’IRAP.

Inoltre la ditta individuale deve adottare la contabilità semplificata (fino a 500.000 euro di ricavi, nel caso di prestazione di servizi, oppure 800.000 euro in altri casi) o la contabilità ordinaria, che comportano più burocrazia e costi. Tuttavia, il regime ordinario non ha limiti massimi di ricavi né di spesa per i dipendenti e permette di scaricare tutte le principali spese connesse all’attività (utenze, affitto locali, macchinari, stipendi, materiali, software, formazione, ecc.). 

Ditta individuale o libero professionista

Ditta individuale e libera professione sono le due opzioni principali per chi svolge un’attività in proprio. Le partite IVA si distinguono in due gruppi in base al tipo di lavoro svolto: 

  • artigiani e commercianti;
  • liberi professionisti.

Fanno parte del primo gruppo quelle partite IVA che svolgono attività manuali oppure acquistano e vendono beni o servizi, come il verduriere, il falegname, l’elettricista o il parrucchiere. Non hanno un Albo di categoria e devono iscriversi al Registro delle Imprese della Camera di Commercio. Chi svolge questo lavoro è chiamato imprenditore e la sua attività sarà un’impresa individuale.

I liberi professionisti sono invece coloro che svolgono lavori più intellettuali, come il notaio, l’avvocato, il giornalista, il medico o altre professioni freelance. Offrono esclusivamente servizi e sono iscritti a un Albo professionale anziché al Registro delle Imprese. 

Chiudere una ditta individuale

La chiusura di un’impresa individuale è veloce quasi come l’apertura. Per farlo occorre inviare una nuova Comunicazione Unica al Registro delle Imprese, dove si richiede la cessazione della partita IVA all’Agenzia delle Entrate e la chiusura delle posizioni INPS e INAIL. 

La domanda va inoltrata entro 30 giorni dalla chiusura effettiva dell’attività d’impresa e i costi si aggirano intorno ai 35 euro di diritti camerali, più un’eventuale parcella per il commercialista se ci si affida a un esperto. 

Importante: eventuali debiti fiscali e contributivi contratti dalla ditta individuale non spariscono alla chiusura, ma restano a carico dell’imprenditore che dovrà risponderne personalmente.

Ditta individuale e conto corrente

Una ditta individuale non è obbligata per legge ad avere un conto corrente dedicato. Questo vale sia per una ditta individuale in regime forfettario che ordinario. Detto ciò, un imprenditore farebbe bene ad avere due conti separati, uno personale e uno per il proprio business, perché in caso di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate l’onere della prova ricade su di lui. 

Per una ditta individuale possono andare bene sia un conto per privati che un conto corrente di tipo aziendale, quest’ultimo da preferire se si vuole sfruttare una serie di vantaggi dedicati ai clienti business. Oggi esistono conti aziendali 100% online che offrono carte aziendali, accesso per collaboratori, prestiti, strumenti di risparmio e investimento per le imprese e tanto altro.

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Sconsigliatissimo invece avere un conto corrente cointestato, poiché in caso di default dell’impresa il conto potrebbe essere bloccato e pignorato. Ciò significa che a rimetterci non sarebbe solo l’imprenditore, ma anche il coniuge o il cointestatario del conto.

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